Alcune riflessioni dopo la lettura dei DIARI di Keith Haring

Keith Haring e i suoi disegni inconfondibili
Due pagine che parlano del Mercato dell'arte (consiglio di ingrandire l'immagine e leggere)

Finalmente dopo diversi giorni riesco a scrivere qualcosetta, sono state settimane molto intense! Tra lavoro e le prenotazioni dello spettacolo LA FAVOLA BELLA nel carcere di Saluzzo è stato difficile trovare qualche minuto da dedicare ad altri discorsi personali...

Ci tengo a parlare di questo libro che ho letto quest'estate (e prestatomi gentilmente dall'amica e artista Vesna Bursich). Diversi anni fa avevo visto con la scuola una mostra dedicata a lui a Milano e ne ero rimasta colpita.. dal suo segno chiaro e semplice, del suo modo quasi infantile di denunciare moltissime cose e avevo trovato estremamente coraggioso che affrontasse tematiche come l'omosessualità e l'AIDS in anni in cui tutto quello era un tabù incredibile.
Ho visto i suoi segni ovunque, su maglie, qualsiasi altro gadgets, su muri, come loghi per attività e come disegni su furgoni o auto.. e leggendo il suo diario si intuisce che proprio quella era la sua volontà. Anche se in alcuni tratti si lamenta delle continue copie e t-shirt "taroccate" con i suoi segni.
E' bello leggere il suo livello di maturità ed evoluzione artistica. In pochi anni ha lavorato e prodotto tantissimo. Interessante vedere come si sviluppa anche la sua sessualità, all'inizio non la cita per niente e poi come un vulcano scrive esplicitamente di omosessualità, uomini, eccitazioni e tutto il resto. Divertente leggere l'influenza della poesia di Ginsberg e toccante la parte in cui affronta l'AIDS e la sua morte (è morto a soli 32 anni).

Leggere i diari degli artisti è sempre utile per aiutarti a fare delle riflessioni.. e siccome si parla di arte, spesso ti aiuta a farti domande sulla tua arte e, ovviamente, a metterti in discussione.
Quando ho letto il suo percorso, la sua volontà è molto chiara: voleva fare l'artista e ha inseguito tutto per diventarlo, con tutti i suoi compromessi.  E' chiaro in un punto in cui dice che non voleva vivere economicamente con un altro lavoro che non fosse quello di dipingere e così ha fatto.

Da un annetto circa sono piuttosto in crisi riguardo al sogno di diventare "artista"... è stato uno di quei progetti che mi ero messa da bambina, come chi vuole fare l'astronauta, perchè più o meno la possibilità è quella, ahahah! Poi mi sono scontrata con la realtà, ovvero la non possibilità economica di continuare gli studi e l'importanza di un'autonomia economica per pagarmi la libertà che desideravo, ovvero 4 mura come casa in solitaria. Il mio percorso l'ho fatto comunque da autodidatta e ho capito che non è sempre importante frequentare una facoltà universitaria per fare ciò che si vuole fare... Ringrazio il mezzo virtuale per tutto quello che mi ha permesso di fare, farmi conoscere, incontrare persone, scoprire mondi artistici che probabilmente non avrei scoperto e per avermi dato la possibilità di espormi in molti posti... E sono contenta di tutto quello che sono riuscita a fare.
Nel 2010 il mio obiettivo era vedere esposta una mia creazione/emozione in una Galleria d'arte e nel 2011 l'ho vista appesa su un muro di una galleria di Torino per una mostra collettiva ed è da lì che sono iniziati una serie di dubbi... Era quello che volevo, eppure vedermi lì, su quella parete bianca, non mi rendeva felice, nè vedere tutte quelle persone con l'aria da alternative snob con i bicchierini di vino in mano.. era quello che volevo? Era quello "essere" in una galleria? Quello voleva dire essere un'Artista?
Ho voluto apposta mettere la foto di due pagine del Diario di Keith Haring dove spiega chiaramente alcuni passaggi fondamentali per entrare nel mercato dell'arte, vi consiglio di leggerli... a me hanno fatto rabbrividire e mi hanno aiutata a dire "no, non ci sto!". Leggendo quelle due pagine mi è stata ancora più chiara la risposta di quella sensazione che provai quel 2011 e che continuai a provare diverse volte dopo.. Da lì comunque il mio percorso è cambiato, pian piano ho cominciato ad allontanarmi da tutto quello e da un annetto sono entrata in quella cosiddetta "crisi"... L'ultima goccia è stata ad Itinerarte, un giorno è arrivato un curatore che a pelle non mi è piaciuto per nulla e mi ha detto "Belle, ma queste foto non sono vendibili". Mi son detta, ma è quello che voglio? E poi guardo i siti stracolmi di aspiranti artisti, leggo su riviste di mostre di artisti emergenti dai nomi sconosciuti e di arte discutibile, vedo su Facebook ogni specie di performance (sempre con il solito nudo e voglia di trasgressione che ormai trasgressione non è) arte mediocre con 300 mi piace a foto pubblicata. Tutti si pubblicizzano, tutti cercano di vendersi il più possibile, tanti si fanno da soli le pagine fan e cercano di conquistarsi in tutti i modi più "mi piace" possibili.. mi sembra ormai che siamo in tanti, troppi, e molti inseguono uno stesso sogno, "diventare qualcuno". Quanto dura il successo di ognuno? Quanto tempo ci vuole prima che venga rimpiazzato da un altro Qualcuno? Quanto è importante il "Bla Bla Bla"? I 300 mi piace sotto una foto cosa significano esattamente? Quanto conta essere Figli di Papà  o comunque essere mantenuto per diventare un artista quotato? Quanti artisti provengono da famiglie povere?
Quanto serve che io mi esprima in mezzo a Centomila aspiranti e cerchi in tutti i modi di entrare in un mondo che non mi piace neanche lontanamente? Quanto è utile sentirsi continuamente in competizione? Voglio veramente vivere con la mia arte senza fare un altro lavoro? Quanto sono disposta a scendere ai vari compromessi e accettare di vendermi a 360° perdendo completamente il bisogno che mi ha spinto ad esprimermi? Quanta voglia ho di continuare a fare servizi commerciali pur di far circolare in qualche modo la mia arte? Quanto ne vale la pena? Meglio il sogno ingenuo di pura espressione?

Dopo questa lettura e dopo tutte queste domande mi sto dando delle risposte... che comincerò a mettere in pratica pian piano.
Questo non vuol dire smettere di esprimermi, ma smettere di voler far parte di alcuni meccanismi che non mi appartengono.